SMART WORKING? SIAMO IN RITARDO

In questo periodo ho ricevuto molte telefonate da parte di dirigenti d’azienda o di imprenditori che, sostanzialmente, chiedono di tornare il prima possibile alla normalità, al pre-covid. Potranno realizzare questo loro desiderio? Tutto tornerà come prima? Ne dubito. Siamo tutti un po’ disorientati: lo smart working, anche se di fatto lo dovremmo chiamare home working, ha generato nuovi punti di riferimento, nuove necessità, nuove esigenze per leder e dipendenti a tutti i livelli. Mai come in questo periodo i lavoratori chiedono progetti per poter armonizzare il tempo del lavoro con quello della famiglia.
La pandemia, infatti, ha dato origine ad una sorta di “mutazione”. Abbiamo capito che qualcosa può cambiare. Che si può rompere uno schema. E, soprattutto, che le metriche della leadership che andavano di moda fino a febbraio 2020 sembrano un po’ datate: urge una revisione. Come mai i leader non hanno saputo anticipare i tempi di questo cambiamento epocale? Doveva arrivare una pandemia per capire che il cosiddetto smart working migliora la qualità della vita e il rendimento dei dipendenti? Eppure i dati per comprendere ed anticipare il fenomeno li avevamo tutti sotto gli occhi. La ricerca dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano già nel 2018 sottolineava i vantaggi dei modelli di lavoro agile:
+15% di incremento di produttività del lavoratore;
-20% della riduzione del tasso di assenteismo;
+80% del miglioramento dell’equilibrio fra lavoro e vita privata;
E se alla fine del 2019 lo stesso Osservatorio aveva calcolato circa 510-520 mila lavoratori in smart working, oggi i numeri sono di gran lunga superiori. Lo smart working piace ai dipendenti che, come abbiamo detto, si sentono più liberi di conciliare le esigenze della famiglia con quelle del lavoro e piace alle aziende che ottimizzano i costi e addirittura aumentano la produttività. “Ma qualcuno che ci perde c’è – sottolinea un interessante articolo di qualche tempo fa del Corriere della Sera – Sono i quadri e i dirigenti con ruoli intermedi. Se il dipendente si organizza da solo, il ruolo del capo cambia completamente”. Molto interessante a tal proposito l’indagine condotta da McKinsey su circa 5.000 lavoratori del settore dei servizi. Il 64% degli intervistati valutava i propri capi/leader abbastanza/poco preparati a gestire il proprio team.
Quindi? Dove voglio arrivare?
Voglio solo accennare e preparare il terreno ad un concetto a me molto caro che, tra l’altro, dà il nome al mio blog: urge una nuova leadership. Questo è il momento di rompere lo schema. Avremmo dovuto anticipare i tempi noi, ci ha pensato la pandemia a cambiare le carte in tavola. La formazione alla leadership deve reinventare approcci e, soprattutto, fare i conti senza paura con il contesto attuale.
Ps: se volete ascoltare le mie pillole sulla leadership etica potete farlo su Spotify cliccando qui https://spoti.fi/3hsItOu o su Podcast cliccando qui https://apple.co/3a3Ns4E

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